Protesi Anca

Anatomia

L’articolazione dell’anca collega gli arti inferiori con il bacino, mediante un meccanismo rappresentato da una sfera che ruota all’interno di una cavità. La cavità è formata dall’acetabolo (o cotile), che è una parte del bacino. La sfera è formata dalla porzione superiore del femore, chiamata testa del femore. Un tessuto liscio e scorrevole, denominato cartilagine, ricopre la testa del femore e l’acetabolo, creando una superficie priva di attrito che permette lo scorrimento di un osso sull’altro (in questo caso la rotazione della sfera all’interno della cavità).
L’articolazione è circondata da fasci di tessuto chiamati legamenti: insieme essi formano la capsula, una sorta di manicotto, che tiene insieme l’articolazione. La capsula è foderata al suo interno da una sottile membrana (membrana sinoviale), che produce il liquido lubrificante per l’articolazione dell’anca. In un’anca sana, la testa del femore ruota perfettamente all’interno dell’acetabolo.

Indicazioni più comuni alla protesi d’anca

Artrosi. E’ la conseguenza dell’usura articolare che deriva dall’invecchiamento o, più raramente, da traumi, deformità congenite o malattie specifiche dell’articolazione. Solitamente si verifica dopo i 50 anni. La cartilagine che riveste le estremità in movimento scompare progressivamente, lasciando scoperto le superfici ossee (in questo caso testa del femore e acetabolo), che urtano l’una sull’altra, causando dolore e rigidità. Molto spesso l’artrosi è favorita da minime deformazioni dell’anca, che si verificano durante l’età dello sviluppo o sono addirittura presenti alla nascita.
Artrite reumatoide. E’ una malattia autoimmune, in cui la membrana sinoviale diventa infiammata e spessa. Questa infiammazione cronica danneggia la cartilagine, portando alle stesse conseguenze dell’artrosi (dolore e rigidità). L’artrite reumatoide è la più comune delle cosiddette “artriti infiammatorie”.
Artrite post traumatica. Può essere la conseguenza di una lesione o di una frattura della testa del femore o dell’acetabolo, con danno alla cartilagine.

Necrosi della testa femorale. La necrosi è una condizione dolorosa, che si verifica quando il flusso di sangue all’osso viene interrotto. Le cellule ossee in questo caso muoiono (necrosi): conseguenze finali di questo processo possono essere la distruzione dell’articolazione e quindi l’artrosi. La necrosi della testa femorale può essere la conseguenza di un trauma (come una frattura o una lussazione) o di alcune malattie o condizioni predisponenti. Nel 30% dei casi la necrosi della testa del femore è spontanea e non si ricollega ad alcuna causa specifica.
Deformazioni congenite o acquisite dell’anca. Determinate malattie dell’anca (displasia congenita, malattia di Perthes, epifisiolisi, etc.) possono essere presenti alla nascita o verificarsi durante lo sviluppo. Anche quando vengono correttamente curate, queste malattie possono causare uno sviluppo non corretto dell’anca durante la crescita, causando un’artrosi in età adulta.

Protesi totale d’anca

In una protesi totale d’anca (o artroprotesi) l’osso e la cartilagine danneggiati sono rimossi e sostituiti da componenti artificiali.
La testa femorale (“la sfera”) viene rimossa e sostituita da una sfera di ceramica o di metallo.
L’acetabolo (“la cavità”) viene rimodellato e rivestito da una superficie di polietilene (plastica) o ceramica.

Questi due elementi, perfettamente lisci, che scorrono l’uno nell’altro, vengono fissati all’osso tramite supporti metallici: la sfera viene innestata su uno stelo, a sua volta inserito nel femore.
La contro-sfera di ceramica o polietilene viene inserita in una capsula di metallo (coppa), che viene fatta aderire all’acetabolo.
Gli elementi metallici aderiscono all’osso con due modalità: a pressione (protesi non cementate) oppure mediante un collante (il cosiddetto “cemento”).

Tecnica mini invasiva

Che cos’è un approccio chirurgico:
L’approccio chirurgico (o via chirurgica) è la “strada” che il chirurgo decide di percorrere all’interno del corpo umano per raggiungere la struttura da operare (nel nostro caso l’articolazione dell’anca).
Nel percorrere questa “strada” il chirurgo ortopedico si trova quasi sempre ad attraversare muscoli o tendini, che spesso necessitano di essere interrotti per poter visualizzare l’articolazione. Essendo l’anca un’articolazione molto profonda (a differenza, ad esempio, del ginocchio), i tradizionali accessi chirurgici prevedono necessariamente ll distacco dei muscoli rotatori (nell’accesso posteriore) o dei muscoli glutei (nell’accesso laterale). Tutto ciò comporta un’indebolimento delle strutture deputate al movimento dell’articolazione, con minore forza e minore stabilità, per lo meno nei primi mesi dopo l’intervento.

L’approccio anteriore mini invasivo consente, mediante degli accorgimenti tecnici, di raggiungere l’articolazione senza staccare i muscoli che circondano l’anca, semplicemente spostandoli. E’ importante sottolineare che, quando si parla di mini invasività, lo scopo non è ottenere una piccola cicatrice chirurgica, ma una minore invasione dei tessuti profondi. La cicatrice può risultare lunga anche in un intervento mini invasivo, senza che questo ne riduca i vantaggi.

Quali sono i vantaggi della tecnica mini invasiva?


Minore dolore postoperatorio


Maggiore dimestichezza nell’uso dell’arto


Minori tempi di recupero


Minore rischio di dislocazione (lussazione) della protesi


Minore perdita di forza


Cicatrice di minori dimensioni

Complicanze di un intervento di protesizzazione all’anca

Anche in presenza di un intervento ben eseguito possono verificarsi complicazioni durante e dopo l’intervento, il cui rischio è statisticamente ineliminabile.

L'infezione è la complicazione forse più temibile, poiché, in presenza di protesi, risulta molto meno curabile con la semplice terapia antibiotica. L’impianto costituisce un corpo estraneo inerte, sul quale le difese immunitarie del paziente hanno scarse possibilità di agire. L’incidenza di infezione periprotesica può svilupparsi anche in presenza di ideali condizioni di sterilità in sala operatoria, di intervento chirurgico non complicato e di profilassi antibiotica correttamente eseguita. Sebbene la maggior parte delle infezioni si presenti nel primo mese post operatorio, esiste la possibilità che un'infezione si manifesti anche a distanza di anni. Nella maggior parti dei casi in presenza di protesi infetta è necessario intervenire chirurgicamente, per provvedere a un’adeguata pulizia chirurgica, mediante rimozione dei tessuti infetti. In alcuni casi si è costretti a rimuovere la protesi per debellare l’infezione.
La trombosi venosa e la conseguente embolia polmonare sono causate dalla formazione di coaguli di sangue all’interno delle vene della gamba, della coscia o del bacino. Questi coaguli possono determinare l’arresto della circolazione venosa con dolore e tumefazione dell’arto operato. Nel caso in cui i coaguli si stacchino e vengano trasportati dal flusso sanguigno fino al cuore, si parla di embolia polmonare: questa complicanza può causare, nei casi più gravi, la morte del paziente. Fortunatamente la prevenzione farmacologica mediante anti coagulanti, la mobilizzazione precoce del paziente e, in alcuni casi, l’uso di calze elastiche ha ridotto enormemente l’evenienza della malattia tromboembolica.
La lussazione della protesi, consiste nella dislocazione della testa protesica al di fuori della coppa. La carenza di tono muscolare predispone a questa complicazione, che fortunatamente si risolve spesso con una manovra di riposizionamento della protesi sotto anestesia, senza necessità di intervento chirurgico. In alcuni casi, se la lussazione si ripete più volte, è necessario intervenire per sostituire una o più componenti della protesi.
La frattura dell'acetabolo o del femore nell'atto di introdurre la protesi è rara; richiede la riparazione della frattura stessa con cerchiaggi, placche o viti, eventualmente modificando il tipo di protesi inizialmente scelta. L’evenienza di una frattura può comportare un allungamento dei tempi di recupero.

Il danno a tendini, muscoli e/o nervi nel corso dell'intervento è non comune. Al danno di un nervo può conseguire, nell'area dipendente da quel nervo, un temporaneo o permanente disturbo della sensibilità, associato o meno a dolore e, molto raramente, debolezza nel sollevare il piede e la gamba. Nel caso di lesione di nervi principali quali il femorale o lo sciatico, si possono osservare significativi deficit funzionali dell'arto interessato, abitualmente temporanei, ma talvolta estesi e duraturi.
L'ematoma nell'arto operato, anche esteso, è comune e di agevole risoluzione; talvolta richiede un intervento chirurgico per drenare l’ematoma stesso.
La secrezione persistente di siero o sangue dalla ferita è comune e può persistere per alcuni giorni anche dopo la dimissione. Se il processo di guarigione della ferita risulta lento e difficoltoso può rendersi necessario in alcuni casi un intervento di revisione della ferita stessa.
Il dolore di coscia può persistere per alcuni mesi dopo l’intervento ed è spesso correlabile a difficoltà di adattamento dell’osso alla protesi. Raramente può essere l’espressione di una mancata integrazione dell’impianto nell’osso e necessita di una sostituzione dell’impianto stesso.
L'anemizzazione postoperatoria che può richiedere la necessità di emotrasfusioni è comune.
Le cicatrici ispessite con alterazione del colorito della pelle (cheloidi) sono comuni; possono conseguire a predisposizione o a ritardo nella guarigione della ferita. Possono essere esteticamente deturpanti, raramente dolorose. E' possibille ottenere un miglioramento con trattamenti conservativi (pomate e massaggi) o con interventi correttivi.
La differente lunghezza degli arti inferiori è comune, in genere al di sotto dei 2 cm, e può comportare la necessità di utilizzare in rialzo nella scarpa. La sensazione di arto più lungo è frequente, ma spesso non corrisponde a un reale allungamento: la sensazione si attenua con il tempo e la decisione di adottare un plantare o un rialzo va presa non prima di sei mesi dall’intervento.

Chirurgia conservativa dell’anca

Alcune deformità del femore o dell’acetabolo, congenite o acquisite, possono essere corrette chirurgicamente, riportando l’articolazione dell’anca a una conformazione più vicina alla normalità. Questo tipo di intervento è possibile soltanto in una piccola percentuale di soggetti (pazienti giovani, con danno alla cartilagine limitato, sintomatici), con scopo di ridurre il dolore e ripristinare un’adeguata funzionalità all’articolazione.

Prenota una visita

Per visite, consulenze e chirurgia vi invitiamo a contattare i seguenti numeri:
Mestre:  0415322957
Venezia:  0415237870
Monastier di Treviso:  0422896598
o inviare una e-mail all'indirizzo info@robertocorezzola.it.

PRENOTA SUBITO